Nell’attuale temperie storico-sociale assistiamo a un nuovo significativo manifestarsi di movimenti di liberazione e di tutela dei diritti delle donne, delle minoranze e delle marginalità. Le lotte civili orientate alla giustizia sociale convivono, tuttavia, con “venti conservatori”, nazionalisti e cis-etero-patriarcali. Diventa allora importante affrontare il tema delle libertà di autodeterminazione (di ciascuno e tutt*): dalla tutela dell’aborto alla tutela dei diritti di spostamento nel globo; dal contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità, al contrasto del Gender pay gap.
Lundàdigas parla di donne ma non parla solo alle donne … La segregazione dei destini (educativi e non solo) delle donne è una delle più evidenti manifestazioni del patriarcato; la più efficace strategia che la consente è la pratica della naturalizzazione.
Del resto, anche l’italianità si è costruita sul mito dell’angelo del focolare: la maternità come vincolo culturale inscindibile, la maternità come identità. Maternità come fulcro della ricorsività fra rapporti sociali (e storici) di dominio e di sfruttamento esistenti tra gruppi coinvolti in relazioni diseguali: sexage direbbe Guillamin che, nella sua analisi del sistema di oppressione delle donne, conia il termine non solo per l’assonanza con i termini esclavage e servage, ma anche perché con questi ultimi il termine sexage condivide il processo di «riduzione [del soggetto] allo stato di cosa» (Guillamin, 2020, p. 59).
Il Sexage descrive gli elementi che caratterizzano il rapporto di appropriazione delle donne da parte del sistema patriarcale: tale forma di dominio è iscritta nei corpi delle donne, le quali non sono libere di disporre né del loro tempo, né della propria forza lavoro. Una condizione dovuta all’interiorizzazione della recinzione all’interno dell’ambiente domestico, frutto di una educazione colonizzante e patriarcale: è infatti attraverso “l’invenzione della natura” che l’idea di sesso, come quella di razza vengono legittimate sia culturalmente, sia normativamente.
Un film che con cura, leggerezza (ma non troppa) e delicatezza racconta le donne che non rientrano nella recinzione, restituendo loro la parola: dare voce è atto fondativo e restitutivo, dare voce impedisce che qualcuno si appropri della storia (e dei vissuti) delle donne e ne riproduca una narrazione utilitaristica, propagandistica e manipolatoria.
Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, autrici e registe.
L’una bruna, l’altra anche.
Si conoscono in Sardegna nel 1991. Nello stesso anno ha inizio la loro collaborazione prima negli studi radiofonici della Rai, più tardi alla realizzazione di alcuni documentari per la serie Storie Vere di Rai Tre.
L’una pitosforo, l’altra sambuco.
Le autrici si distinguono per l’appassionata ricerca di un linguaggio innovativo nel trattamento di temi sociali importanti, primo fra tutti la condizione delle persone disabili.
L’una Vespa lilla, l’altra R4 rossa.
Col tempo la tematica iniziale si amplia e le autrici percorrono nuove strade di rappresentazione della realtà focalizzando la loro attenzione sulle storie di relazione e sulle testimonianze.
L’una il Sessantotto, l’altra il Settantasette.
L’impegno del momento è la realizzazione del progetto Lunàdigas dedicato alle donne che hanno scelto di non avere figli.
L’una Marzemino, l’altra Vermentino.
Prendendo spunto dalla loro personale condizione di donne senza figli, le autrici indagano e si interrogano sulle ragioni di una scelta mai facile, poco raccontata o tenuta nascosta.
L’una clitoridea, l’altra vaginale. E viceversa.
Lunàdigas è una parola della lingua sarda usata dai pastori per definire le pecore che non figliano.
L’una porta i capelli grigi, l’altra anche.
Testo: Lavinia Bianchi