Sguardi dal Burkina Faso – Il Barbiere

Una delle cose a cui si deve abituare un occidentale in Africa è lo stravolgimento del concetto di attività commerciale e professionale. Noi facciamo quasi tutto in spazi chiusi, ben delimitati. Soprattutto il lavoro, se non è necessariamente un lavoro che si deve svolgere all’esterno, si esercita in un ambiente predisposto, ben riconoscibile e identificabile, ma soprattutto chiuso.

Nei miei primi passi in Burkina Faso ho dovuto fare pace con questo schema classificatorio, perché la maggior parte di quello che ti serve lo trovi a bordo strada. Non è facile farsene una ragione, almeno per quanto mi riguarda, ci ho messo un po’ ad accettare che potevo risolvere un sacco di mie esigenze senza entrare in uno spazio chiuso.

Sul bordo della strada compri cibo crudo e cibo cotto, abiti, scarpe, pentole. Trovi chi ti ripara la bici o il motorino, i falegnami costruiscono mobili, i fabbri le persiane, le lavandaie immergono montagne di panni nelle tinozze di alluminio. Non ci sono insegne, vai lì perché lo sai o perché chiedi a qualcuno, sempre per la strada. Anche i negozi espongono molta della loro merce all’esterno: materassi, tavolini, ventilatori e tutto quello che la fantasia può immaginare. I negozi sono molto piccoli, come pure le botteghe degli artigiani. Quindi fungono più da deposito che da luogo di vendita o di produzione. Insomma, è tutto en plain air, come direbbero i francesi.

Per noi, per me, vedere tanta merce impolverata è un po’ traumatico effettivamente, la terra rossa svolazza incessantemente e cambia il colore a tutto, ma è così, lo devi mettere in conto.

All’inizio a me tutto questo è sembrato solo un gran caos. Non capivo dove iniziava e finiva un’attività, a volte neanche di chi fosse la merce esposta perché, non essendoci confini fisici, commercianti ed artigiani passano da uno spazio ipotetico a un altro.

E poi ti cadono gli occhi su questo vecchio barbiere di quartiere, con la sua panca sotto l’albero e la sua antica lama. Lo so, i nostri parametri igienico sanitari non possono condividere una cosa del genere, ma questa immagine è l’emblema di quanto a un certo punto cominci ad amare di questo posto: ESSERE TUTTI INSIEME SU QUESTO MONDO, senza confini, in una fittissima e infallibile rete di azioni, relazioni, persone, parole, storie ed emozioni. Non c’è nulla che tu non possa trovare anche se sei estraneo a quel luogo, ti basta solo guardare, cercare con gli occhi e anche se tu non trovassi ciò che cerchi, qualcuno si accorgerebbe del tuo sguardo interrogativo e si avvicinerebbe a te per aiutarti.

Essere fuori, a bordo strada, vivere in mezzo al mondo, non essere mai davvero soli. Interagire incessantemente, accorgersi di ogni piccolo mutamento del paesaggio, dell’assenza di qualcuno, o dell’arrivo di una novità. Tutto in un brulicare di parole, di mani che si aiutano, di condivisione di quel poco che c’è, che sia acqua oppure ombra oppure cibo. È questo TUTTO VITALE che ti circonda e ti avvolge che mi ha fatto passare dal rifiuto all’accettazione, al volerci stare dentro. Una calamita che mi attrae verso uno stare insieme, verso un mescolarsi, un intrecciarsi, impolverarsi, parlarsi, sostenersi.

Se potessi, andrei a farmi una bella chiacchierata con il vecchio barbiere, avrà raccolto tante storie, tante confessioni, di amici o semplici passanti. Deve essere una biblioteca di memorie, un riparo di saggezza, un custode di paure. Mi faccio bastare il suo sguardo verso di noi, che interrompe per un attimo il suo lavoro, ma che serve a registrarci lì, una piccola novità nel suo TUTTO VITALE, che ha fatto sentire anche noi TUTTI INSIEME IN QUESTO MONDO.

Testo: Brigida Angeloni
Foto: Giuseppe Burdino

Lascia un commento