Decolonizzare l’educazione: un imperativo per il futuro

Prosegue il dialogo a due voci sui temi dell’autodeterminazione e sulla necessaria decolonizzazione della mente …

L. Il Paese d’approdo, in questo caso l’Italia, dalla fine degli anni ‘80 ha iniziato a occuparsi dell’accoglienza degli alunni stranieri a scuola … diciamo che “sulla carta”, la scuola italiana è pronta a progettare percorsi di apprendimento interculturali … ma di fatto nei suoi curricula espliciti e, maggiormente in quelli impliciti, tende a riprodurre dei programmi intrisi di quel potere coloniale che non è assunto come consapevolezza dai più …

B. Sin dalla prima infanzia, in Mali, noi impariamo la lingua coloniale: il francese, per forza. Questo studio è obbligatorio per tutti quanti. Noi impariamo prima la lingua francese e, di conseguenza assorbiamo le parole e i concetti di quella cultura coloniale.

Noi siamo intrisi in una cultura scolastica che ci impone di imparare la lingua e la letteratura del colonizzatore e non le nostre lingue madri: questo ha una ricaduta psicologica di grandi proporzioni che ci farà assumere-interpretare-sentire “naturalmente” la lingua francese come più importante, primaria, indispensabile e, dunque, anche il Paese come “superiore”.

L. Sì, capisco la lingua è il primo veicolo della socializzazione nella cultura di appartenenza; imponendo la lingua francese, si impone di “pensare in francese”. Pensare e adattare i propri attrezzi culturali è una violenza che lascia cicatrici profonde. Esiste una ricca letteratura in proposito: Césaire, Glissant, Fanon … e altri. La creolizzazione è una questione culturale molto delicata.

Scrive Aimé Césaire nel Discorso sul colonialismo:

“L’Europa è indifendibile.

Questa sembra essere la constatazione che scambiano a bassa voce gli strateghi americani.

La cosa in sé non sarebbe grave. 

Grave è il fatto che «l’Europa» è moralmente e spiritualmente indifendibile.

Oggigiorno poi, risulta che non sono soltanto le masse popolari europee che la incriminano, ma l’accusa viene mossa a livello mondiale da milioni di uomini che dalle cave della schiavitù si ergono a giudici.

Si può ammazzare in Indonesia, torturare nel Madagascar, imprigionare in Africa Nera, seviziare nelle Antìlle. I colonizzati sanno ormai di disporre, nei confronti dei colonialisti, di un vantaggio: sanno che i loro «maestri» provvisori mentono. Che i loro maestri sono perciò deboli. E dato che oggi mi è stato chiesto di parlare della colonializzazione e della civilizzazione, affrontiamo direttamente la menzogna principale dalla quale proliferano tutte le altre.

Colonizzazione e civilizzazione? 

Il rischio più comune in questa materia è quello di essere vittima in buona fede di una ipocrisia collettiva, abile a porre i problemi in modo sbagliato per legittimare meglio le soluzioni odiose che propone”.

B. Questo gioco psicologico alimenta il senso di inadeguatezza e spinge all’identificazione con l’aggressore: impone di europeizzarsi, pena l’esclusione sociale: se non sei abbastanza europeo, vuol dire che non sei civilizzato. Questo gioco psicologico invade anche la sfera dell’estetica e spinge l’80% delle ragazze a sbiancarsi la pelle.

L. Lo so. Questa riflessione è contenuta nel testo antecedente ai dannati della terra,  Pelle nera maschere bianche, nel quale Frantz Fanon condivide con il lettore di dover necessariamente aiutare il paziente a portare alla coscienza il suo inconscio, a non tentare più una lattificazione (parvenza bianca, sbiancamento, ossessione bianca) allucinatoria: il nero o il migrante, per lo più proveniente da paesi che hanno già vissuto il dramma del colonialismo, mette in atto un rapporto di identificazione ambivalente con il colonizzatore bianco; “lactification hallucinatoire”[1] (Fanon, 1952).

L’identità del nero o del migrante va in frantumi nel suo voler diventare altro, diverso e “lattificato” invece di presentare se stesso in piena e libera dignità. Scrive Fanon (2015, pp. 110-111)

Da qualche anno alcuni laboratori hanno progettato di scoprire un siero di denegrificazione; alcuni laboratori tra i più seri hanno sciacquatole lo loro provette, regolato le loro bilance e dato il via alle ricerche che permetteranno ai poveri negri di sbiancarsi e di non dover più sopportare il peso di questa maledizione corporea. Avevo creato uno schema storico-razziale al di sotto dello schema corporeo. Gli elementi che avevo utilizzato non mi erano stati forniti da “dei residui di sensazioni e percezioni di natura tattile, vestibolare, cinestetica e visiva”, ma dall’altro, il Bianco, che mi aveva intessuto di mille dettagli, aneddoti, racconti […]

Ero responsabile allo stesso tempo del mio corpo, della mia razza, dei miei antenati. Mi percorrevo con uno sguardo oggettivo, scoprii la mia nerezza, i miei caratteri etnici – e mi sfondarono il timpano l’antropofagia, il ritardo mentale, il feticismo, le tare razziali, i negrieri e soprattutto, soprattutto, “Y a bon banania[2]“.

B. Questo tipo di istruzione è dannosa per i nostri popoli, aggravata anche dalle varie missioni religiose che vogliono evangelizzare i poveri negri (sia il cattolicesimo che l’Islam) … Questo non permette alle persone di emanciparsi, di essere autonome, essere capaci di spirito critico. La maggior parte delle persone non possono riscattarsi dalla propria ignoranza e questo è connesso con il sentimento della paura.

Ah, aggiungo una cosa molto importante, una differenza sostanziale: noi non siamo educati all’autodeterminazione e alla libertà, che invece sono valori universali. Basti pensare che noi siamo il retaggio dei nostri genitori, viviamo in un sistema patriarcale e matriarcale castrante: saremo noi poi a occuparci dei nostri genitori e questo ci condiziona nella nostra autonomia e nella nostra libertà.

L. Dunque, possiamo dire che prima la scuola imponendo una lingua coloniale e una cultura di subordinazione, e poi l’educazione familiare, con tratti di protezione e confinamento, non sollecitano una formazione integrale della persona in direzione della libertà fondamentale?

B. Sì è come una partita di calcio, piacerà al nostro amico Carlo … quando si va in fuori gioco … il giocatore può uscire dal perimetro del campo ma il pallone no: noi siamo il pallone … Te lo dico in altre parole e riprendo la tua idea di “bambinizzazione” …  io direi che oltre a questa idea, dobbiamo considerare la proiezione che la popolazione autoctona fa su di noi: un pregiudizio sulla nostra presunta incapacità di fare qualcosa.

Ecco perché credo che l’autoeducazione sia l’unica soluzione: bisogna imparare ad andare oltre a non soffermarsi su un terreno di pensiero rassicurante … bisogna assumere la responsabilità di superare lo schema di pensiero che ci hanno inculcato, senza paura.


[1] Fanon F. (1952), Pelle nera, maschere bianche, Pisa: Edizioni ETS, 2015. Questo testo racchiude la riflessione di Fanon sulla negrezza e getta le basi per un dialogo profondo relativo all’autocolonizzazione.

[2] Slogan pubblicitario di una marca francese di cioccolato in polvere, associato all’immagine di un fuciliere senegalese: scrive Fanon Che cos’era questo per me se non uno scollamento, una lacerazione, un’emorragia che coagulava sangue nero in tutto il mio corpo? (2015, p. 7). In appendice un’immagine relativa a questo slogan. (sito)

Mahamadou Ba e Lavinia

Foto: Marcello Scopelliti

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