Chi fa la guardia alle parole, fa la guardia al mondo.
Perché sono le parole che costruiscono il mondo in cui viviamo.
Michela Murgia
Alcuni giorni fa ho letto articoli con titoli di questo tenore: “Borgo San Michele: un esempio di accoglienza e amicizia con la comunità sikh”.
Leggendo l’articolo scopro che il motivo di cotanto entusiasmo nasceva dal fatto che, durante una festa patronale, alcune ragazze indiane si erano alzate e avevano cominciato a ballare insieme al resto dei partecipanti.
Viene da pensare se sia questo l’attendibile termometro su cui misurare le nostre capacità di accoglienza e amicizia, o se invece si tratti piuttosto dell’ennesima folklorizzazione della subalternità.
Il Collettivo Primo Contatto lavora su questo tema dal 2018, mirando ad azioni e interventi capaci di decostruire una certa narrativa fintamente inclusiva. E questo perché riteniamo che la vera trappola risieda nelle narrazioni del couscous, del pietismo paternalista e dell’inclusione subordinata.
Sono meccanismi che bell hooks nel suo volume Insegnare a trasgredire definisce tokenism.
Il tokenism, rimanda alla “teoria della massa critica” che, riprendendo il concetto di simbolo, definisce il fenomeno attraverso il quale gruppi di maggioranza reclutano, all’interno di determinati contesti, persone appartenenti a gruppi di minoranze (etniche o di genere) per lanciare un messaggio di inclusività, che molto spesso si rivela essere falso e solo di facciata.
Si verifica allora una compensazione fittizia, eclatante e spesso edulcorata e sovraesposta, che si evidenzia, ad esempio, quando in un gruppo viene riconosciuto un sottogruppo sottorappresentato che potrebbe avere effetti negativi sull’attività dell’intero gruppo: si agisce, allora, in modo “inclusivo a tutti i costi”, una sorta di crudele specchietto per le allodole.
Il tokenism è molto diffuso nelle serie TV e nei film, ma anche in altri contesti, come i salotti televisivi, la politica e il mondo aziendale, ed entra nelle scuole con straordinaria pervasività.
Esempi di tokenism sono le “quote rosa” in ambito politico e, ancora, in ambito aziendale; il nominare o assumere una persona appartenente a un gruppo di minoranza, solo per prevenire eventuali critiche e dare l’impressione che le persone vengano trattate in modo equo; oppure, in classe, enfatizzare le “origini” di una compagna/o con background migratorio (scivolando pericolosamente nell’assetto che preclude alla “pedagogia del couscous”) e spiegare che la compagna/o con disabilità “è speciale, unica/o” (e noi per questo ci prendiamo cura di lei/lui) oppure, ancor peggio, “è come noi” (e lo dimostriamo nella recita di Natale…).
Le più marcate caratteristiche dei token (la persona-simbolo, la “prescelta” per entrare a far parte del gruppo egemonico) all’interno delle narrazioni sono: visibilità, polarizzazione, sensazionalismo e assimilazione. I token sono ben riconoscibili, in quanto subordinati all’interno del gruppo; sono invasi dal concetto dell’esagerazione, avendo caratteristiche somatiche diverse, rendendo così il gruppo dominante sempre più coeso e consapevole delle differenze con gli stessi token; a volte, le caratteristiche dei token vengono distorte e assimilate all’interno del gruppo dominante, in modo da “portarle” ad assumere gli stessi valori del gruppo per creare una narrazione rassicurante e accogliente per gli spettatori.
Finora il “fenomeno token” è stato principalmente analizzato in riferimento alla presenza di donne e, in misura più contenuta, di persone con disabilità all’interno dei board aziendali, ma può essere esteso a tutte le categorie di diversità. Ad esempio, alle rituali e sempre più vuote Giornate del Rifugiato organizzate da amministrazioni le cui reali politiche mancano sempre di accogliere i bisogni delle minoranze.
Il nostro obiettivo è quello di diventare un po’ più attenti e consapevoli, soprattutto per chi lavora nell’educazione; in proposito, vi suggeriamo di visitare il sito https://www.sullarazza.it che ospita una serie di podcast miranti a tradurre in italiano concetti ed espressioni provenienti dalla cultura angloamericana, ma che ci ostiniamo ad applicare alla realtà italiana, come “BAME,” “colourism,” e “fair skin privilege.”
E per chi ha voglia di approfondire, si rimanda a:
Lavinia Bianchi, Genere, Razza e Classe. Prospettiva engaged e intersezionalità negli albi illustrati di bell hooks. In Borruso F., Gallelli R., Seveso G., (a cura di), Le avventure della conoscenza Esclusione ed emancipazione nei percorsi educativi femminili tra storia e attualità, Roma, Unicopli.
Testo: Lavinia Bianchi
Foto: Marcello Scopelliti