Oggi il Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos del Mediterraneo presenta un esposto alla Corte Penale Internazionale dell’Aia “con lo scopo di indagare, informare e fornire strumenti di tutela a tutte le vittime delle rotte migratorie verso l’Europa”, e che si pone in relazione a un dossier già presentato alla stessa Corte Internazionale “sui crimini commessi contro i migranti dalle autorità libiche, con la complicità di quelle maltesi e italiane, stilato da un team di giuristi di UpRights (Olanda) Adala for All (Francia) e Strali (Italia)”.
La scelta della data non è casuale: oggi sono infatti esattamente cinque anni dal famigerato memorandum d’intesa tra il governo italiano e quello libico che ha decretato l’inizio dell’attuale era dei rimpatri forzati, ufficializzata un paio di settimane dopo dal Decreto Minniti, che da allora regola la gestione delle politiche migratorie verso il nostro paese. Grazie a quel memorandum – di fatto un accordo internazionale, che però per usufruire di quella denominazione avrebbe dovuto passare attraverso il voto parlamentare – l’Italia e l’Europa si impegnavano a collaborare per la gestione e il controllo delle rotte migratorie mediterranee proprio con la Libia, il paese da cui quei profughi fuggono e in cui continuano a susseguirsi arresti arbitrari, torture, rapimenti e violenze ai danni di rifugiati e migranti.
Di fatto, la gestione di un vasto specchio di mare ( zona Sar, che sta per search and rescue e cioé ricerca e salvataggio) veniva assegnata alle forze militari libiche, finanziate e formate dal personale della Marina Italiana, in una paradossale investitura da parte del nostro governo del ruolo di salvatori agli stessi torturatori dei profughi. In virtù di quell’accordo, rifugiati e migranti intercettati in mare dalla guardia costiera libica sono riportati in Libia e in centri di detenzione ufficiali o in altri luoghi di cattività, dove però risultano essere trattenuti arbitrariamente e per lunghi periodi di tempo ed esposti al rischio di subire torture e maltrattamenti, secondo quanto riportato da numerosi osservatori internazionali (qui Amnesty International). È anche l’Italia quindi, con il suo decisivo appoggio, a rendersi responsabile del rimpatrio forzato di profughi nei luoghi di tortura e anche dell’abbandono in cui versano quelle acque, e dei tanti naufragi invisibili che hanno seminato di cadaveri i fondali del Mediterraneo.
“Quell’accordo è un crimine umanitario – afferma Emilio Drudi, portavoce del Comitato Nuovi Desaparecidos – per due motivi fondamentali: in primis la Libia non può assolutamente considerarsi un porto sicuro, dal momento che è proprio il luogo dove avvengono le violenze riportate dai profughi. In secondo luogo, è chiaro che la mancata attivazione di una Mrcc libica (Marine rescue coordination center, e cioè una centrale per il coordinamento del soccorso in mare) significa che quel tratto di mare non è controllato da nessuno, come è testimoniato dall’altissimo numero di naufragi e decessi registrati nell’ultimo anno.”
Di fatto, si legge nell’esposto di Nuovi Desaparecidos, secondo quanto affermato dal ministro Guerini, dal 3 luglio 2020 l’attività è svolta in piena autonomia dalla Marina Libica, senza coinvolgimento alcuno di personale italiano, ma ad oggi “nessuno ha mai detto dove si trova la Mrcc libica, quanto personale impiega, che dotazioni ha; continua ad essere un mistero il canale radio su cui si opera, né risultano stazioni radio costiere di supporto; inoltre, dal luglio del 2020 ad oggi non risultano interventi di alcun caso di operazione in mare coordinato da una Mrcc libica.” In realtà, nel dicembre 2021 è stato consegnato tramite la portaelicotteri San Giorgio il materiale necessario per attivare la centrale mobile, ma niente lascia pensare che essa sia stata attivata.
“La Sar è una tragica finzione- si legge nell’esposto del Comitato Nuovi Desaparecidos – tenuta in piedi solo grazie al costante, quotidiano supporto italiano ed europeo”: un’affermazione che sulla base di quanto avvenuto negli ultimi anni è impossibile non sottoscrivere. E a distanza di cinque anni da quel memorandum, sottoscritto dall’allora capo del governo Gentiloni e mantenuto da tutti i suoi successori (Conte gialloverde, Conte giallorosso e l’attuale Draghi), crediamo che sia necessario rivedere un accordo che ha sulla coscienza migliaia di morti nella traversata del Mediterraneo e anche la violazione dei diritti umani di molti dei sopravvissuti a quel tragico viaggio.
Testo: Carlo Miccio
Foto: Marcello Scopelliti