Contro l’embargo in Mali

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Sabato scorso, in diverse città africane ed europee, si sono tenute manifestazioni contro l’embargo e le sanzioni contro la Repubblica del Mali decise dalla CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale) e dalla UEMOA (Unione economica e monetaria ovest-africana), come da noi già segnalato qui. In Italia erano stati convocate due manifestazioni, a Milano e a Roma, e il Collettivo Primo Contatto ha deciso di partecipare alla manifestazione capitolina convocata a Piazza Santi Apostoli.

Quello che abbiamo visto, e che ci preme raccontare con foto e parole, è stata una piazza affollata di quella gioventù africana protagonista di una diaspora che ha radici lontane e nasce da un colonialismo ufficialmente sconfitto, ma che si trascina attraverso organi e istituzioni che di fatto rappresentano gli interessi dei nemici di sempre.

La Francia, che attraverso la CEDEAO e l’UEMOA controlla di fatto l’economia di una macroarea composta da tutti gli stati francofoni dell’Africa occidentale, è il bersaglio principale della rabbia dei tanti fratelli e sorelle maliane che abbiamo incontrato in piazza: al controllo economico attraverso la moneta coloniale ha accompagnato, dal 2012, un’ulteriore occupazione militare del paese africano, motivata dalla presenza nel nord del paese di un’alleanza di eserciti jihadisti che – forti di ingenti finanziamenti da parte delle famiglie salafite del golfo – controllano fisicamente una parte del territorio.

Un paese che di fatto vive una guerra interna da oltre dieci anni, che ha prodotto ingenti perdite umane, ripercussioni sui civili e catastrofi culturali come la distruzione di gran parte del tesoro storico e archeologico di Timbuctù, tragedia ricordata da un commovente intervento di un appassionato oratore originario della città. E che adesso si trova a far fronte a un embargo di cui sarà la popolazione civile a pagare lo scotto maggiore – come sempre in ogni embargo, ma tanto più nel caso di paesi privi di sbocchi al mare come il Mali.

A motivare l’embargo è stata la scelta da parte della giunta militare – salita al potere con un golpe la scorsa estate – di posticipare le elezioni fissate per il prossimo febbraio a data da destinarsi, entro i prossimi cinque anni. Una soluzione decisamente pericolosa agli occhi di numerosi governi confinanti, minacciati a loro volta dal rischio di colpi di stato militare.

A sentire la piazza di Roma – ricca di presenze femminili, capaci di dar voce non solo alla rabbia ma anche ad analisi profonde e lungimiranti capaci di scardinare preconcetti e luoghi comuni – l’attuale giunta militare, proprio in virtù delle sue posizioni antifrancesi, ha l’appoggio compatto della popolazione, tanto che a dire di alcuni manifestanti la soluzione più intelligente sarebbe per l’attuale capo di stato Assimi Goïta, convocare nuove elezioni, candidarsi e vincerle – soluzione a onor del vero storicamente poco battuta dai militari golpisti. Anche se, davanti a questa nostra obiezione, ci è stato detto che l’Africa ha le sue regole politiche, non sempre coincidenti con quelle occidentali.

Resta il fatto che nel momento in cui scrivo questo pezzo le agenzie battono la notizia di un nuovo colpo di stato nel confinante Burkina Faso, a conferma dei timori di chi pensa che questa soluzione possa diventare troppo popolare ed espandersi ad altri stati dell’Africa Occidentale, aprendo per tutta l’area le porte a una nuova stagione di governi militari.

Ma qualunque sia la strada politica per il cambiamento che gli stati dell’area decideranno di adottare, quello che rimane imprescindibile per la comunità internazionale è evitare che a pagarne il costo maggiore sia la popolazione civile.

Per questo motivo il no all’embargo e alle sanzioni deve rimanere un punto fermo e deciso per tutti. Sicuramente, lo sarà sempre per noi.

Testo: Carlo Miccio
Foto: Marcello Scopelliti

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