Dopo il premio Pieve: attualizzare, pensare, sporcarsi le mani.

Dialogo-riflessione per agire il cambiamento.

Premessa.

Questo breve dialogo nasce dalla ricognizione a posteriori dopo essere arrivato tra gli 11 finalisti con il racconto “Mi chiamo e Ba e non scappavo” al “Premio Pieve Saverio Tutino 2021 – leggere e scrivere diari” – premio “DIMMI di Storie Migranti”.

Un risultato straordinario, una piccola-grande meta raggiunta, un obiettivo che incoraggia a perseguire con impegno e coraggio altri obiettivi.

Un lavoro che aspira a rappresentare un universale singolare: dal racconto intimo del proprio vissuto biografico, indugiando sulle dinamiche familiari e sulle motivazioni, fino all’intento prescrittivo di risveglio della coscienza critica collettiva.

M. Questo racconto è stato scritto sulle emozioni, ogni singola parola ha la sua storia dietro, ogni storia ha il suo sacrificio e ogni sacrificio era un rischio. Tiziana scriveva le mie parole, ma spesso ci fermavamo perché ci veniva da piangere e io non riuscivo a pronunciare delle parole.

Lav. Penso di capire, è successo anche a me. Non è stato semplice leggere e rileggere e cercare di tradurre senza alterare, condividere l’intimo intento, sentire lo strazio.

M. Io volevo la libertà, quando sei il più piccolo di tutti non hai scelta e non hai diritto di scegliere. Proprio i “no senza spiegazione” (no e basta, si fa così e basta, perché sì!) mi hanno spinto a ricercare, a sfidare le convenzioni e a capire, ostinatamente, cercando la mi strada verso la libertà. Quello che ho voluto dire nel mio racconto è che i giovani africani devono iniziare a pensarsi come liberi cittadini del mondo. Voglio dire, avere la consapevolezza di essere liberi e poter viaggiare normalmente come tutti gli esseri umani. Rischiare la propria vita nel mare e nel deserto non è un diritto.

Lav. Quindi, vuoi dire che prima di partire devono pretendere di poter partire come cittadini liberi e, per fare questo, devono prima pensarsi come liberi cittadini …

M: Sì, perché questa voglia di andare in Europa è creata dall’illusione colonialista. Credere che non abbiamo risorse e che l’Africa sia povera è la base scatenante del controllo mentale e psicologico coloniale. La credenza che non possiamo fare da soli, che non possiamo essere capaci di svilupparci ed essere concorrenti nel mercato mondiale. L’ideale per me è sviluppo dell’economia e non depredazione (subita quasi passivamente e conseguenza dell’imperialismo) e riversamento in Europa. Il racconto che abbiamo scritto, come accennato, riflette anche sulla mia dolorosa infanzia: assenza dei genitori e maltrattamento dai fratelli. Non ero mai felice quando ero bambino, non solo per la traumaticità delle condizioni familiari, ma anche perché io avevo tanto e i miei amici niente. Che senso ha? Che senso ha? Se uno ha tutto e gli altri niente? Poterlo dire era fondamentale per me per poter iniziare un nuovo percorso.

Lav: Cosa speri che accada al tuo racconto?

M: Spero che possa servire fondamentalmente alla gioventù europea.

Lav: a decostruire degli scenari incancreniti?

M: Sì, devono capire che “l’invasione” da parte della gioventù africana in Europa è definita con una pre-organizzazione coloniale. E i giovani africani devono imparare a credere di poter rimanere a casa per emanciparsi. Il punto non è che “scappiamo dalla guerra per cercare una vita migliore”, il punto è che noi lasciamo l’Africa perché è quello che ci hanno inculcato.

Lav: Sì, il colonizzato è come uno zombie (Fanon)…

M: Con il mio racconto non voglio che passi una storia eroica: nessun eroe, solo la responsabilità individuale di ognuno di noi. Ognuno deve agire il cambiamento. Alla fine del mio intervento al premio Pieve molte persone sono venute a complimentarsi con me … tra queste una giovane ragazza, forse nigeriana, che mi ha chiesto di spiegarle il mio punto di vista, perché si era incuriosita. Io le ho detto che dobbiamo evitare di fare dei racconti pietistici, perché nessuno ci tratterà alla pari se gli facciamo pietà… lei ha detto “è vero! … ma loro ci spingono a farlo, vogliono sapere e sentire storie pietistiche da noi”.

Lav: questo è violento, molto

Ba: molto violento ed è questo il grande nodo “vogliono rubarci la voce e spiegare il nostro dolore”

Lav: questo garantisce di perpetrare la supremazia, la posizione di dominanza e di dipendenza … penso a bell hooks, una delle mie luminose guide, nei suoi lavori insiste spesso su questa riproduzione di potere e assoggettamento “dimmi del tuo dolore, poi io ti ri-racconterò la tua storia …”

Ba: nella quotidianità, ad esempio … a volte mentre sono a lavoro, alcune persone mi dicono “mi dai fastidio” … “perché non torni al tuo paese” e io, a dire il vero, non soffro ma provo pietà per loro. Questi mi dimostrano ancora una volta che avevo ragione a fare questo percorso, non ho rimpianto di averlo fatto … perché questo essere migrante “clandestino” o irregolare non ci dà nessun merito, nessun rispetto e nessuna responsabilità. Io non ho mai avuto paura del presente, perché noi possiamo sopportare e sopravvivere a questo trattamento… ma i nostri figli che nasceranno qui, cresceranno qui — non accetteranno mai questa segregazione in questa classe sociale. Sono nati in Italia, sono europei, o sono francesi, stessa cosa.

Lav. Infatti, quando ti dicono di tornare al tuo paese, io ti consiglio di rispondere “a Latina?” E’ questo il tuo paese Ba, e loro devono cominciare a capirlo. L’Italia che ci immaginiamo è un’Italia antirazzista, progressista, democratica e, magari, un’Italia con lo Ius Soli, con l’eutanasia legale e il DDL Zan approvato.

Ba: infatti … la gioventù europea deve essere guidata per non accontentarsi della propaganda politica, ma scavare in fondo, fare ricerca, comprendere.

Lav: noi abbiamo a disposizione una arma potentissima, la più potente in assoluto: noi ci occupiamo di educazione, possiamo trasformare una cultura etnocentrica che riproduce un modello segregante e aspirare alla vera “conversione ecologica” (Langer) intesa in senso ampio e complesso. Possiamo dire che il tuo racconto è una sorta di poema pedagogico e non ha nulla a che vedere con l’aspirazione a un racconto eroico

Ba: Sì, è così, è un testo che unisce dati politici, cerca di spiegare i movimenti dei migranti nei quali sono stato osservatore e poi coinvolto, unisce un racconto familiare a una prospettiva di impegno politico. Noi non dobbiamo accettare di essere un danno collaterale politico, perché non ci sarà mai una vita tranquilla e una vita bella in nessuna parte del mondo se non ci saranno trattamenti universali. La mia lotta, o il mio cieco ottimismo, è la ricerca di una vita in cui la nostra società sia giusta, equa, aperta.
Politicamente comprensibile ma umanamente è un fallimento. Anche se il mondo non cambierà adesso, noi dobbiamo lasciare una speranza ai nostri figli, la speranza di un domani migliore.

Lav. Una utopia concreta, ecco. Le nuove generazioni saranno testimoni del nostro impegno e “continueranno in ciò che è giusto”

Testo :Lavinia Bianchi e Mamadou Ba

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