Cambiare tutto e cambiarlo subito

Oggi a Montecitorio si discuterà la conferma degli accordi stipulati dal nostro paese con la Libia del 2017, inclusi all’interno di quel famoso decreto Minniti che ha rappresentato uno spartiacque importante nella politica italiana in tema d’immigrazione. In quell’occasione passò il principio secondo cui la Libia (o almeno, la parte amministrata dal governo riconosciuto dall’Italia, un governo che a sua volta controlla solo una parte del paese e delle sue coste) sarebbe il più idoneo degli alleati per gestire i flussi migratori che attraversano il Mediterraneo. Il tutto in barba all’evidenza dei fatti, e cioè che in Libia vige un regime illiberale responsabile e complice delle quotidiane violazioni dei diritti umani di quegli stessi immigrati che gli accordi dovrebbero proteggere, e che invece trascorrono mesi detenuti in lager dove sono soggetti a violenze e abusi di ogni tipo.

Un paese, la Libia, che del traffico di migranti ha fatto un’arma diplomatica, e capace attraverso quegli accordi di ottenere finora 785 milioni di euro di finanziamento alla sedicente Guardia costiera libica, un organismo di fatto infiltrato da milizie e trafficanti. Una pioggia di denaro che non ha comunque fermato e neanche rallentato la serie ininterrotta di respingimenti, omissioni di soccorso, stupri, torture, abusi e, purtroppo, di morti in mare.

È di appena qualche giorno fa la pubblicazione di un video che mostra anzi come, proprio utilizzando uno dei mezzi dotati dalla Marina Italiana, la Guardia costiera provi a speronare e ad affondare le imbarcazioni cariche di migranti, in un episodio che denota una certa consuetudine a questa pratica.

Oggi quindi il Parlamento deciderà se finanziare nuovamente le motovedette libiche, nonostante la cifra dei morti in mare riconosciuti – cioè accertati – si attesti per l’anno in corso già intorno alle ottocento persone. Un accordo che sembra perpetrare, piuttosto che risolvere, quella perversa dinamica che produce a cadenze regolari un’intollerabile numero di vittime.

Ma insieme alla disumana sterilità di un accordo che produce solo guadagni per i carnefici, e nessun aiuto concreto per le vittime, c’è un altro aspetto che colpisce l’osservatore. Quegli accordi risalgono al 2017 e all’allora governo Gentiloni, a maggioranza PD. Terminata quell’esperienza con nuove elezioni, al governo di questo paese si sono avvicendati un governo gialloverde a trazione leghista, un altro giallorosso a maggioranza 5stelle e infine l’attuale ecumenico governo tecnico guidato da Mario Draghi.
In pratica, nel giro di cinque anni abbiamo sperimentato tutte le possibili combinazioni di governo offerti dall’attuale parlamento in carica: eppure, niente è cambiato negli accordi con la Libia e, sostanzialmente, nell’atteggiamento del nostro paese verso la questione migratoria e in particolare verso il drammatico fronte del Mar Mediterraneo, dove i barconi continuano a naufragare e le persone a morire.

La cosa è tanto più paradossale se si pensa che – almeno fino all’irruzione sulla scena del Covid – i temi legati all’immigrazione hanno occupato il grosso dello spazio e del dibattito mediatico: dai talk show alle polemiche social (con o senza influencer famosi) tutto sembra polarizzato tra posizioni estreme, tra chi vuole chiudere ogni frontiera e chi vuole aprire tutto – o almeno, renderle più facilmente attraversabili. Nell’immaginario nazionale, ci sono dei politici che rappresentano le istanze più reazionarie ed altri che invece sono animati da una visione più aperta all’accoglienza e che vorrebbero rendere questo paese un paradiso (o un inferno, a seconda della prospettiva) di convivenza interetnica. Nell’immaginario nazionale, attraverso giornali, televisione e social, questi politici non fanno altro che scontrarsi su ogni aspetto della questione migratoria da posizioni all’apparenza divergenti e sostanzialmente inconciliabili. Nell’immaginario nazionale, in parlamento e nei dibattiti social, risuonano parole grosse – come fascista, grullino e pidiota – in un’atmosfera che sembra di perenne conflitto e in cui sembra immersa l’intera popolazione.
Come mai, verrebbe da chiedersi allora, al momento di firmare i trattati internazionali queste differenze non si notano e le scelte continuano ad essere sempre le stesse? Perché mai Salvini, e dopo di lui Conte e Draghi, non sentono il bisogno di cambiare quello che è un accordo nato e sottoscritto da un governo PD? Qual è la differenza reale (cioè parlamentare) tra tutti questi schieramenti, che tante volte abbiamo visto litigare sui diversi media?
Sempre più spesso, in tema d’immigrazione, il confronto tra le diverse fazioni politiche sembra ridursi a un gioco delle parti, dove i protagonisti si scontrano negli studi televisivi ma poi sono straordinariamente in sintonia al momento delle votazioni parlamentari. E sempre più spesso è la società civile che si pone come agente di cambiamento, avanzando proposte concrete che nascono dalla pratica sul campo dell’accoglienza.

In vista della discussione parlamentare di oggi il Tavolo Asilo e Immigrazione ha scritto al presidente del consiglio Mario Draghi una lettera aperta (che potete leggere qui) in cui si invita il governo italiano ad abbandonare “politiche di deterrenza e contenimento e si concentri piuttosto sulla salvaguardia e protezione di uomini donne e bambini nel rispetto dei loro diritti umani” e a cancellare la proposta di rifinanziamento della Guardia Costiera libica. Un documento che invita il governo a dare un segnale di forte discontinuità con il passato ed inaugurare una fase nuova nella gestione dei flussi, mirata alla salvaguardia di ogni vita umana e non al rispetto di accordi con un paese che viola sistematicamente i diritti umani di milioni di persone. Stare con le vittime, e non con i carnefici, è il minimo che si possa chiedere a un governo democratico. E abbiamo un ritardo di cinque anni da superare.

Testo: Carlo Miccio
Foto: Marcello Scopelliti

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