Un coltello con la lama ricurva, una penna biro, una pietra sulla panca. Un va e vieni di apprendisti meccanici, mandati a farsi fare guarnizioni. Tutto il giorno, dall’alba al tramonto. Ogni tanto una pausa per mangiare o per bere un po’ di caffè fatto su una vecchia moka da dodici, piazzata sul fornello a carbone. Sotto quella tettoia precaria a bordo strada, con le spalle alla cour familiare. Da lì, senza vedere, può sentire la voce della moglie che sfaccenda con le pentole, ascoltare le paroline pronunciate dai suoi bambini che giocano correndo dietro la mamma.
Uno stare fuori stando anche dentro che mi affascina ogni volta.
Il lavoro, nelle sue mille sfaccettature, il lavoro che sporca le mani, che le rende ruvide e nere. Il lavoro di un padre, il lavoro onesto, che forse non è mai abbastanza per i bisogni della famiglia, ma che è l’essenza della dignità e che suscita rispetto. In noi, che ci siamo seduti lì accanto a prendere un po’ della sua ombra, a guardare come si fa una guarnizione perfetta con un coltellino, a scambiare due parole, un sorriso.
Il lavoro di un padre per crescere i suoi figli.
Testo: Brigida Angeloni
Foto: Giuseppe Burdino