Sotto il costante esame dei mercati

Se non ci fosse l’emergenza Covid-19 l’Itala – così come molti altri Paesi – sarebbe già in default. Il debito pubblico ha abbondantemente superato i 2700 miliardi e continuiamo a fare altro debito per fronteggiare la pesante crisi dovuta alla pandemia. Dopo che tutto questo sarà finito, però, qualcuno dovrà decidere come rientrare da questo gigantesco debito. E’ una decisione che segnerà – nel bene o nel male – le prossime generazioni. E’ un problema che va affrontato sapendo però che ci sono due modi per farlo. O strutturando operazioni finanziarie a favore dei creditori o ristrutturando il debito a tutela dei cittadini. La politica italiana, assieme a quella europea, finora ha scelto di tutelare i creditori imponendoci sacrifici fatti passare come indispensabili per salvare l’Italia. Il ritornello lo abbiamo visto all’opera negli anni passati – chiedete ai greci – “siamo sotto costante esame dei mercati, se facciamo scelte a loro gradite abbiamo qualche possibilità di cavarcela, altrimenti saremo distrutti”. Così dicendo si è dato un implicito riconoscimento al fatto che fra Stato e mercati chi prende le decisioni non sono parlamenti e governi, ma banche, fondi di investimento, hedge fund.

Ora, con l’avvio del programma Next Generation EU meglio conosciuto come Recovery Fund, si mette al centro dell’azione politica ed economica dei singoli Stati la necessità di una riorganizzazione dell’intero impianto economico e produttivo immaginando una riconversione verde e, al contempo, investimenti a sostegno delle aree depresse e delle categorie svantaggiate. Non è la prima volta che ciò accade. Nel 2010 e per il decennio successivo alla crisi del 2008 si propose di conseguire uno sviluppo sostenibile e inclusivo, con una riduzione significativa del numero di soggetti a rischio di povertà ed esclusione sociale. Tale obiettivo fu al centro del programma sia della Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale (EPAP, Platform against Poverty and Social Exclusion) istituita nel 2010 sia del Piano di Investimenti Sociali (SIP, Social Investment Package) adottato dalla Commissione europea nel 2013. Quest’ultimo sostenne la necessità di approcci definiti “più innovativi” nell’attuazione delle politiche sociali che prevedevano un concorso – anche finanziario – maggiore da parte del Terzo Settore. Ma già nel 2017, durante la presidenza della Commissione europea da parte di Juncker (2014-2019), l’innovazione sociale non era più al centro della agenda politica. Nel quadro del suo programma, il Pilastro europeo dei diritti sociali (European Pillar of Social Rights, EPSR), quasi non compare il termine innovazione sociale, anche se esso non sparisce del tutto da altri documenti europei.

E’ del tutto evidente che non è possibile abbassare la guardia, le parole non bastano, c’è bisogno di dare attuazione a programmi che sulla carta risultano ambiziosi e lungimiranti ma che, al momento specialmente in Italia, ancora non riescono a trovare concretezza nelle proposte e nei fatti. E i fatti per ora sono a dir poco contraddittori, basti pensare al previsto aumento delle spese militari di ben 25% previsto dall’attuale governo. L’on Crosetto, deputato di FdI e presidente dell’associazione italiana dei produttori di armi ha candidamente difeso il provvedimento dicendo che le missioni all’estero sono fondamentali per la difesa degli interessi nazionali. Alla faccia del fatto che le abbiamo sempre definite missioni di pace. Il governo giallo-verde, quello dell’aiutiamoli a casa loro ha ridotto del 12,5% i fondi per la cooperazione internazionale, decisione confermata anche dal governo successivo. Questi due esempi fanno capire quanta strada c’è ancora da fare per riportare l’azione di governo sulla strada di uno sviluppo almeno un po’ più sostenibile ed equo. L’unico modo per uscire da questa politica fallimentare è un cambio di prospettiva. Mai come in questo momento siamo in presenza di un gigantesco quantitativo di denaro non produttivo che viene fatto girare all’interno del circuito finanziario generando plusvalenze che accrescono ancor di più la ricchezza dei detentori dei fondi speculativi aumentando il divario già enorme tra questa categoria di imprenditori/speculatori ed il resto della popolazione. In passato i “padroni” per fare i soldi dovevano produrre, le grandi famiglie di finanzieri avevano solidi asset industriali sui quali basavano la loro capacità di reddito per loro ma anche per il grande numero di loro dipendenti. Negli ultimi decenni il capitale ha preso sempre più la strada della speculazione e non quella dell’investimento produttivo. Una inversione di rotta si può ottenere attraverso una seria riforma fiscale per generare un aumento del gettito proveniente dai grandi redditi e dai grandi patrimoni che costituiscono comunque un serbatoio di ricchezza parcheggiata in area improduttiva. E per finire una riqualificazione della spesa pubblica eliminando sprechi, intesi come privilegi e spese inutili, in modo da incanalare ogni euro verso il miglioramento dei servizi essenziali – primi tra tutti la sanità e l’istruzione – e il potenziamento degli investimenti pubblici in infrastrutture utili e sostenibili. E’ una responsabilità che sta sulle spalle della classe politica ma che ci deve vedere tutti coinvolti, ognuno con le proprie capacità.

Testo: Roberto Pergameno
Foto: Marcello Scopelliti (Particolare tratto dall’opera di Pedro Cabritas Reis “La casa di Roma”)

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