Nessuna crisi per le armi

  • Categoria dell'articolo:L'astrolabio

La scorsa settimana abbiamo segnalato, in un articolo su questa stessa rubrica, il caso della Costa Rica Paese che ha abolito le forze armate. L’articolo terminava con un riferimento all’Italia che, per contro, vede aumentare costantemente le proprie spese militari. Vale forse la pena analizzare un po più a fondo questo elemento non marginale del bilancio statale partendo da un elemento: l’Italia si colloca nella top 10 dei produttori di armi. La classifica, elaborata dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), vede il nostro Paese, inoltre, al nono posto per quantità di armi esportate. Per l’esattezza l’Italia esporta il 2.5% delle armi di tutto il mondo in maniera particolare le cosiddette “major weapons”, vale a dire quelle pesanti (aerei, navi, sottomarini, carri armati e sistemi missilistici). I principali partner commerciali dell’Italia, nel quadriennio 2014-2018, sono stati, nell’ordine, Turchia, Algeria e Israele.

Una parte degli armamenti prodotti, insieme all’importazione dall’estero, viene acquistata direttamente dal nostro governo. In un periodo non certo florido per le casse dello Stato la spesa militare prevista per il 2020 registra un fortissimo aumento di oltre 1,5 miliardi di euro, sia per la crescita diretta del bilancio proprio del Ministero della Difesa sia per il mantenimento di alti livelli di spesa di natura militare anche su altri Dicasteri. Continua ad essere in crescita la quota di investimento per nuovi sistemi d’arma proveniente dal Ministero per lo Sviluppo Economico che si vanno ad aggiungere alla decisa risalita degli investimenti per armi iscritti sul bilancio della Difesa (circa 2,8 miliardi con un +40% rispetto al 2019). Tutto questo porta i fondi a disposizione per acquisti di nuove armi al livello record di quasi 6 miliardi.

Tra i tanti record che l’Italia ha nel settore militare, vi è anche il numero delle missioni all’estro che assommano a 41 per l’anno in corso con un impegno complessivo di spesa di 8.613 miliardi contro i 7.358 miliardi del 2019. Sono state 5 le nuove missioni approvate dal Parlamento italiano nel corso del 2020 contro il ritiro di 2 già in essere: la “Temporary International Presence in Hebron” (TIPH2) in Cisgiordania e il dispositivo “NATO Support to Turkey – Active Fence”, cioè la batteria SAMP-T schierata in Turchia.

Ma vediamo nel dettaglio due esempi, uno di spesa ed uno di vendita all’estero di materiale bellico. Per quanto riguarda la spesa l’esempio più eclatante è quello dei famigerati F35, i cacciabombardieri più costosi della storia. Secondo alcune fonti parlamentari, Giuseppe Conte avrebbe confermato al governo americano la volontà di rispettare gli accordi che prevedono l’acquisto di 90 F-35. Si parla, per questa operazione, di un possibile via libera a una spesa di 14 miliardi di euro. Nel 1998 l’Italia, prima con il governo Prodi e poi con quello D’Alema, firmò l’accordo che impegnava il nostro Paese alla partecipazione alla fase preliminare del programma. Quattro anni dopo, il secondo governo Berlusconi confermò l’adesione seguito di nuovo da Prodi nel 2007 e, ancora, da Berlusconi nel 2009. Inizialmente il nostro Paese aveva previsto l’acquisto di 131 esemplari, numero ridotto a 90 (60 F-35A e 30 F-35B) dal governo Monti nel 2012. Al costo di un solo F-35 (80 milioni di euro per ogni F-35A e di circa 100 per ogni F-35B), secondo i calcoli degli esperti di medicina del sito web «Med4Care», si potrebbero allestire almeno 800 nuovi posti letto dedicati ai Reparti di Rianimazione o acquistare un migliaio di ambulanze, risorse così preziose in questi mesi di Coronavirus. Al momento l’Italia ha preso in consegna 15 F-35, di cui 12 F-35A e 3 F-35B.

Il business delle armi, come si è detto, ci vede come Paese partecipare anche come produttori ed esportatori. Un esempio di quanto importante sia il comparto militare sia da un punto di vista strettamente economico che strategico ci viene dalle relazioni che il nostro Paese intrattiene con l’Egitto.

Nonostante il tragico episodio dell’omicidio di Giulio Regeni nel 2016, i rapporti commerciali con l’Egitto sono man mano aumentati. Questo specialmente grazie alla scoperta, nel 2015, di un enorme giacimento di gas naturale nelle acque egiziane, a Zohr, seguita poi da altre importanti scoperte nel golfo di Suez nel 2019. Questi pozzi sono gestiti da Eni e rappresentano un asset strategico molto importante per l’Italia. Per mantenere buoni i rapporti con il governo del Cairo l’Italia ha dato il via libera, tra l’altro, alla vendita di due fregate Fremm all’Egitto. Si tratta di due navi, la “Spartaco Schergat” e la “Emilio Bianchi”, della Marina militare italiana ultime due delle dieci ordinate per un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro. L’affare fa parte di una commessa ancora più ampia che, come riportato dal Fatto Quotidiano in una recente inchiesta, dovrebbe comprendere anche altre 4 fregate, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo, più un satellite da osservazione, per un valore totale fra i 9 e gli 11 miliardi di euro. Tutto questo nonostante le minacce formali dei governi succedutisi dal 2016 in poi per la mancanza di collaborazione delle autorità egiziane sul caso Regeni con tanto di ritiro dell’ambasciatore e nonostante il fatto che il business delle esportazioni di armi all’Egitto sia stato sconsigliato da diverse risoluzioni europee in quanto “attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna”.

Dal punto di vista dei rapporti economici e strategici, pertanto, la vicenda Regeni pare non aver inciso granché.  Le pressioni delle grandi aziende italiane hanno ottenuto che non venissero messe in pericolo le gare d’appalto da 2,5 miliardi di dollari che 130 nostre imprese si apprestano ad accaparrarsi. Senza parlare dell’onnipresente Eni che opera in Egitto da oltre cinquant’anni. L’investimento complessivo per lo sfruttamento del mega giacimento di gas scoperto di recente, tanto per dare un’idea, supera i 7 miliardi di dollari.  

Di vitale importanza, da ultimo, ricopre il rapporto con l’Egitto per il ruolo che l’Italia vuole avere nel Mediterraneo.  Nonostante i milioni destinati dall’Italia alla Libia, Il governo di Beida, espressione del Parlamento di Tobruk e legato al generale Haftar, ha emanato un provvedimento che di fatto impedisce alle società italiane l’apertura nuove attività in Cirenaica, oltre allo sviluppo di quelle esistenti o la costituzione di joint-venture con società locali (modalità consolidata fin dagli anni di Muʿammar Gheddafi. Per raggiungere una intesa con il generale Haftar su questo punto e su molti altri compreso il rilascio di 19 marinai italiani e due pescherecci della flotto di Mazzara del Vallo, occorre necessariamente rivolgersi al suo alleato egiziano, il presidente al-Sisi dato che il governo italiano riconosce solo il governo di Tripoli. Ma rivolgersi ad al-Sisi significa trovare un compromesso sui rapporti politico-diplomatici e favorire il flusso di materiale bellico. Con buona pace dei diritti umani, di Giulio Regeni e di Patrick Zaki.

Roberto Pergameno

Foto: Marcello Scopelliti

Lascia un commento