Stefania Romano è un’esperta in materia di protezione ambientale, sviluppo sostenibile e economia verde, avendo lavorato per molti anni nella cooperazione internazionale, presso organizzazioni internazionali e istituzioni governative.
Con un background in politica pubblica, ha sviluppato progetti e programmi sulla sostenibilità in diverse regioni e aree geografiche, tra cui l’Europa centrale e orientale, la Turchia, l’Asia Centrale, la Federazione russa, i paesi arabi, e il Brasile. Distaccata dal Ministero dell’Ambiente presso il Regional Environmental Center ha creato, sviluppato e coordinato l’Accademia sullo Sviluppo Sostenibile e la Piattaforma per l’Economia Verde nei paesi MENA (Medio Oriente e Africa del nord).
Ha anche contribuito al lavoro di istituzioni e organizzazioni in ambito del sociale e dei diritti umani, come Emergency, Children Welfare Ladakh, e A Sud.
È iscritta a DiEM25 (Movimento per la democrazia in Europa, il movimento transnazionale voluto da Yanis Varoufakis) per il quale è stata eletta dal Collettivo Nazionale a National Focal Point (Italia) della campagna GNDE (New Deal verde per l’Europa).
È stato proprio nel periodo in cui ha frequentato Emergency che ci siamo conosciuti e da allora abbiamo cominciato a collaborare. Attualmente siamo entrambi impegnati nelle attività di DiEM25 e nella campagna GNDE. Mi piacerebbe sentire l’opinione di Stefania su un punto.
R. Siamo entrambi impegnati in ambito sia di tutela dei diritti umani e il rispetto dei trattati internazionali riguardanti il diritto di movimento delle persone sia in ambito ambientale. Secondo te quale è, se c’è, un filo conduttore che lega questi due temi:
S. Intanto vorrei cominciare col ringraziare “Emergency” per averci fatto conoscere. Quando nel 2016 sono tornata a Roma dopo avere lavorato all’estero nella cooperazione internazionale mi sono avvicinata a Emergency proprio perché sentivo il bisogno di contribuire in modo concreto a un lavoro serio e mirato come quello portato avanti da Gino Strada e dalla sua organizzazione. Ci sono trovati insieme nello spazio dedicato alle scuole, coi bambini, proprio perché i bambini sono come la terra e il suolo, su cui potere piantare semi, i semi dei diritti umani.
R. Si, mi ricordo che ci siamo proprio conosciuti nell’ambito Emergency scuola: in realtà proprio al primo incontro introduttivo, in cui si faceva formazione per la scuola… E adesso sei la coordinatrice per l’Italia del Green New Deal, lavoro in cui anche io sono coinvolto…
S. Si. Sono stata eletta nel Collettivo Nazionale di diem25 lo scorso agosto, e poco dopo sono diventata Coordinatrice della Campagna del Green New Deal for Europe.
R. Raccontaci meglio…
S. La campagna del Green New Deal for Europe propone un cambiamento di marcia radicale, con azioni radicali. Lo scorso dicembre il nostro team europeo ha lanciato una lettera aperta a Ursula Von den Leyen, quindi alla Commissione Europea, sollecitando un impegno concreto in termini temporali, considerando il 2050 una data troppo lontana per la neutralità climatica; in termini di investimenti, obiettando che i 110 miliardi di euro di investimenti annui sono riduttivi rispetto alle risorse necessarie per la transizione dell’industria, delle infrastrutture e dell’agricoltura europea; e in termini di modello economico, che rimane competitivo, e bisogna invece puntare sulla solidarietà per la sicurezza dei cittadini.
R. Abbiamo spesso condiviso l’opinione che i problemi della sostenibilità dello sviluppo economico va ad impattare anche il rispetto dei diritti umani. Basti pensare al forte impulso alle migrazioni che derivano dai cambiamenti climatici e come questi si sviluppino maggiormente nella fascia tropicale dove c’è una maggiore incidenza di condizioni di povertà endemica.
S. intanto finalmente nel “Blueprint per una Giusta Transizione” si parla di ecocidio, riconoscendo i danni climatici come reato, come “crimine contro l’umanità”; che, tra l’altro, si inserisce in un quadro più ampio di giustizia ambientale, non solo al livello internazionale e intersezionale, ma anche in una prospettiva intergenerazionale, affrontando le ingiustizie del passato, e garantendo che le generazioni future ereditino un pianeta sano.
R. Questo aspetto lo abbiamo affrontato varie volte negli ambiti più diversi. Ricordo che da anni in Emergency facciamo spesso riferimento alle calamità naturali come veri e propri crimini perpetrati ai danni delle popolazioni più deboli. Anche nelle riunioni del Focus Group GNDE sta emergendo con sempre maggiore evidenza questo aspetto puoi approfondirlo?
S. Ci si muove su tre direttrici di giustizia: il primo cardine è quello internazionale che riconosce che il crollo climatico è un fenomeno globale, per cui anche la nostra risposta deve essere globale. Il Green New Deal for Europe mira a costruire ponti di cooperazione tra i Paesi, e non muri; il secondo è la Giustizia Intersezionale che assicura che nessuna comunità sia esclusa dalla transizione verde, indipendentemente dalla zona geografica, dalla razza, dal sesso, dall’identità di genere, dall’età, dalla disabilità, dalla nazionalità, dallo status di immigrazione, dalla sessualità, alla religione e all’ istruzione. E infine il terzo è la giustizia intergenerazionale, che guarda alla storia dell’inquinamento, legata all’estrazione delle risorse in Europa in tutto il Sud del mondo.
R. E il fenomeno della Migrazione quindi come rientra in questo scenario?
S. Da tempo gli scienziati (in particolare il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) hanno avvertito che una delle conseguenze dei cambiamenti climatici sarebbe stato lo spostamento forzato delle popolazioni: secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni entro il 2050 tra i 25 milioni e il miliardo di persone potrebbero essere costrette a spostarsi a causa dei cambiamenti climatici.
È triste constatare che gli sfollati climatici non sono formalmente riconosciuti dalle nostre istituzioni internazionali – per non parlare degli obblighi internazionali. Nel 2018 l’ONU ha finalmente adottato il Patto globale per le migrazioni, che però resta volontario e non vincolante, e nove Stati membri dell’UE si sono astenuti o hanno votato contro. La migrazione quindi è una componente fondamentale della giustizia internazionale. Ed è su questo bisogna lavorare, valutando la relazione tra il ruolo dell’Europa nei cambiamenti climatici e l’aumento della migrazione involontaria, sia all’interno del continente europeo che in altre parti del mondo.
R. L’Italia non ha ancora elaborato una parte importante della sua storia recente che è stata l’avventura coloniale. Ci siamo spesso raccontati la favola degli italiani brava gente che andava a costruire strade e scuole nascondendo la realtà che è quella di un Paese che si è allineato pienamente alle altre potenze in quello che è stato un vero e proprio esproprio di risorse a danno di interi continenti.
S. L’Europa ha l’immensa responsabilità nella depauperazione di comunità di tutto il mondo del loro patrimonio naturale e delle loro risorse. Per secoli l’espansione coloniale nei Paesi del Sud del mondo attraverso l’espropriazione delle risorse naturali è stata la norma. I sistemi di estrazione coloniale hanno permesso lo sviluppo dell’Europa; come è stato osservato da alcuni storici, l’Europa non ha sviluppato le colonie, bensì le colonie hanno sviluppato l’Europa. È necessario quindi pensare a finanziamenti per le infrastrutture, trasferimenti di tecnologia e risorse per le comunità sfollate. L’UE deve rendersi conto dei suoi lunghi secoli di dominio coloniale e pagare i risarcimenti climatici alle comunità colpite. A cominciare dalla dimensione internazionale della giustizia ambientale, che va dalle relazioni commerciali alle regole del gioco per le imprese transnazionali.
R. Mi sembra di capire (ma questo ce lo ripetiamo ad ogni occasione, ogni riunione o scadenza) che davanti abbiamo un enorme lavoro da svolgere. E’ un compito che, come direbbe uno dei personaggi dei film di Sergio Leone “è una sporco lavoro ma qualcuno dovrà pur farlo.
S. Un lavoro enorme che richiede volontà politica, e quindi responsabilità e consapevolezza, che sono le uniche chiavi di svolta. Se chi ci governa continua a lavorare per mantenere lo status quo, non credo che la nostra umanità sopravvivrà.
R. Già perché qui non si parla di salvare il pianeta ma di salvare l’umanità.
S. Esattamente, al di là degli slogan “salviamo il pianeta” che fanno dell’essere umano il predatore onnipotente che decide su tutto, qui invece sarà la terra a decidere per noi se non cambiamo tabella di marcia. Se non cambiamo noi in primo luogo. Se non diventiamo noi più umili e più semplici nei bisogni materiali, puntando invece sulle relazioni umane e affettive.
R. Grazie Stefania, con te ci incontreremo ancora nei vari gruppi di lavoro che ci vedono impegnati. Speriamo che sempre più persone prendano coscienza del fatto che questo è il momento di agire, non un minuto di più, non una risorsa va sprecata.