La complessità è la più significativa caratteristica dell’attuale assetto mondiale. Chi crede di avere soluzioni facili e definitive ai grandi problemi del mondo si illude. Ne sono un esempio i rapporti tra quella parte di mondo che ha in mano l’economia globale e la maggior parte dei Paesi africani che di quella globalizzazione sono tra le vittime. Il G20, previsto a Firenze ma tenutosi da remoto a causa della pandemia lo scorso aprile, ha stabilito la sospensione, a partire dal primo maggio e almeno fino alla fine dell’anno, dei pagamenti delle rate del capitale e degli interessi sul debito bilaterale contratto nei confronti delle economie avanzate da oltre settanta dei Paesi meno sviluppati ed economie fragili associate all’Agenzia internazionale per lo sviluppo della Banca mondiale.
I rappresentanti delle 20 economie più solide del mondo hanno stabilito che ben 73 tra i Paesi più poveri del mondo hanno i requisiti per partecipare all’Iniziativa di moratoria sul loro debito con il congelamento potenziale di pagamenti per 9 miliardi di dollari per il 2020. Sembrerebbe una buona notizia ma, come sempre, a questo punto interviene lei, la complessità. Secondo uno studio pubblicato da Oxfam, “Christian Aid and Global Justice Now” infatti, quegli stessi 73 Paesi dovranno comunque ripagare un debito di 33,7 miliardi di dollari. Si tratta di ben 2,8 miliardi al mese (tanto per dare un’idea questa cifra equivale al doppio di quanto Uganda, Zambia e Malawi messi insieme spendono annualmente nella sanità). Come questo sia possibile è molto semplice: i Paesi creditori possono intervenire solo sulla quota relativa ai Fondi Sovrani ma non sui creditori privati (banche, fondi di investimento ecc) ai quali solo per il 2020 gli stessi Paesi fruitori della moratoria dovranno rimborsare 11,6 miliardi di dollari ai quali si dovranno aggiungere 13,8 miliardi di dollari verso istituzioni multilaterali che sono escluse dagli accordi. I giornali titolano “Cancellato il debito a 73 Paesi poveri” mentre la realtà è ben altra: ah la complessità!
Secondo l’Oxfam affinché si possa effettivamente incidere sulle condizioni economiche dei Paesi debitori “questa iniziativa dovrebbe diventare uno strumento legalmente vincolante attraverso il quale arrivare alla cancellazione di tutti i pagamenti per debito, tra cui quelli nei confronti delle istituzioni multilaterali, fino alla fine del 2022, includendo anche i paesi a medio reddito.” Volendo essere onesti si dovrebbe anche intervenire sulla destinazione di questi fondi per evitare quello che è già successo in passato quando la cancellazione parziale o totale del debito invece di favorire investimenti civili è stato destinato ad altro se non disperso nei mille rivoli della corruzione, male endemico ed una delle cause di povertà di questi Paesi. In Uganda, tanto per dire, dopo la cancellazione del debito conseguente alla crisi del 2008, le spese militari aumentarono del 24%.
Lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali e il gigantesco riciclaggio di denaro operato attraverso triangolazioni finanziarie nei Paesi africani annullano totalmente gli effetti dei prestiti e dei finanziamenti internazionali. Per fare un esempio in un solo anno i paesi africani hanno ricevuto circa 19 miliardi di dollari in sovvenzioni e aiuti allo sviluppo, ma nello stesso tempo 68 miliardi sono usciti dal continente in attività finanziarie illecite. Una parte consistente (48,2 miliardi di dollari) di questa massa di denaro che corrisponde a oltre il 6% del Pil dell’intera Africa, è generata dal cosiddetto fenomeno del “trade misinvoicing”, ossia dalle false fatturazioni commerciali delle multinazionali. E’ una vera e propria gigantesca truffa a danno dei Paesi più poveri del mondo con la complicità determinante delle classi dirigenti locali.
Per non rimanere solo sulle denunce sarebbe il caso che i governi, le organizzazioni internazionali non governative e/o quelle operanti sotto il coordinamento dell’ONU proponessero serie e concrete iniziative per rendere strutturale la ripresa economica di questi Paesi a cominciare da un maggiore coinvolgimento della società civile africana affinché i tanti squilibri, la corruzione, e certi privilegi che compromettono anche gli effetti degli interventi esterni siano denunciati ed eliminati.
L’economia del continente africano è stata sistematicamente smantellata e va ricostruita dalle fondamenta. Per decenni si è assistito ad aperture dei mercati alle imprese straniere e al commercio internazionale favorito dalle istituzioni internazionali che hanno promosso privatizzazioni che hanno finito per smantellare i pochi servizi pubblici esistenti senza avviare una forte economia locale. La ricchezza mineraria, le fonti fossili e le altre risorse sono state e sono tutt’ora causa di conflitti e di corruzione. La Banca mondiale (da che pulpito…) suggerisce invece di investire “in quei settori che permettono una crescita sostenibile e inclusiva, che ha maggiori prospettive in rapporto all’evoluzione tecnologia e alla trasformazione delle competenze”. Come dimenticare la tragica situazione del Congo, produttore dell’80% della columbite-tantalite (la cosiddetta sabbia nera), il materiale con cui vengono costruiti i cellulari, i computer, gli iPad e la maggioranza dei dispostivi elettronici. Il commercio di questo minerale pregiato ha già scatenato e continua a causare violenze e conflitti: le stime dell’Onu parlano di genocidio e di 8 milioni di morti causate dalla cosiddetta “guerra del coltan”.
Nel 2015 le Nazioni unite avevano avviato un tentativo di ristrutturazione del debito che prevedeva la trasformazione delle donazioni volontarie in una forma di risarcimento per i danni subiti da parte dei governi dei Paesi industrializzati e dalle loro multinazionali. La risoluzione fu votata da 136 nazioni, con l’opposizione (che novità!) di Stati uniti, Regno unito, Germania, Giappone, Canada e Israele. Sarebbe invece molto importante che si avviasse un’analisi approfondita dei rapporti tra le varie economie, che tenesse conto delle risorse che escono dal continente ogni anno.
Sono problemi complessi come si diceva all’inizio che non possono essere affrontati con la superficialità e l’approssimazione dimostrata da tanti, troppi, governanti. Se qualcuno vuole veramente mettere le mani in questo ginepraio e comprendere la fonte e l’origine anche di fenomeni come la migrazione dovrebbe rimboccarsi le maniche e iniziare a ragionare partendo da dati e fatti incontrovertibili lasciando da parte facili slogan propagandistici.
Roberto Pergameno
Foto: Marcello Scopelliti