Ma i neri si scottano al mare?

L. Quando lo scorso anno andai a comprare creme solari protezione totale per i bambini della mia casa famiglia, il medico della farmacia ridendo mi disse: “ma serve anche a loro la protezione solare?”

Io lo guardai perplessa e poi iniziai a spiegare che “sì” serve proprio anche a loro, come tutti … perché sa! I raggi ultravioletti non sono razzisti!

M. Spesso a lavoro, il mio “fratello bianco” Andrea mi faceva la stessa domanda:

“Ba, ma i neri si bruciano quando vanno al mare?” E io non gli rispondevo, ridevo e continuavo a fare il mio lavoro … perché mi sembrava uno scherzo, una presa in giro.

Ma poi mi ha detto: “Ba, per favore, è una domanda seria, lo voglio sapere … non voglio offenderti … i neri si bruciano quando vanno al mare?”

Avendo capito allora gli ho risposto: “Certo che si bruciano” Ma lui, pensando che lo stessi prendendo in giro, continuava a ridere.

L. Ma il vero problema è … quali sono i preconcetti che accompagnano queste credenze … da dove vengono.

Facciamo un passo indietro. Dalle cartoline coloniali per le truppe impegnate nella campagna d’Africa di De Seta[1] in poi, l’immaginario iconografico italico non è molto cambiato. Il nero veniva rappresentato come selvaggio, creatura piuttosto bestiale, animaletto docile se femmina, uomo brutale e sessualmente minaccioso, se maschio … siamo alle solite, un problema di tipo culturale.

M. Io non credo che sia una mancanza di informazione … perché basta andare su Google e fare una ricerca. Ma il problema è che purtroppo i neri non sono considerati in modo uguale … come a dire … “sono neri, si tratta di neri! perché investire tempo e sforzarci per evitare certe ignoranze”?

L. Vedi? abbiamo detto la stessa cosa! Non è un problema di disinformazione ma di cultura.

Ascoltami. Ti faccio una domanda. Se ti chiedo “esiste la razza bianca”, tu che mi rispondi?

M. Ti rispondo che attraverso il tempo le parole hanno perso i loro significati etimologici; cioè oggi nella ideologia dominante mondiale, viene deciso chi e cosa è importante (sapere, conoscere, prendere in considerazione) e chi e cosa no.

Io, stando in questo contesto di senso, come nero credo che esiste la razza bianca.

L. Io come bianca, ho scoperto di essere bianca a 34 anni.

E sì, la razza bianca, declinata secondo canoni culturali e di supremazia, esiste eccome.

Prima questione: nessuno parla della razza bianca. Conosci Barbara Flagg?

M. No

L. Ti dico qualcosa … Sono numerose le sensibilità di studiosi lontani nel tempo e culturalmente disomogenei (da Fanon, ad Appadurai, da Du Bois a bell hooks, da Flagg a Delgado) che hanno comunque enfatizzato quanto il discorso sulla ‘razza’ si sia sempre presentato come ‘difficile’, spesso rimosso e ancor più spesso strumentalizzato; a mio avviso, questo accade in particolar modo in Italia.

Ad esempio, il prezioso testo a cura di Gaia Giuliani “Il colore della nazione” permette una disamina puntuale e critica dei vari linguaggi iconografici, filmici e pubblicitari del panorama nazionale, affilando la lama sui contenuti di questi linguaggi.

Dopo il ventennio fascista e, nello specifico, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, in Italia il legame tra razzismo e fascismo – a seguito della messa al bando formale del razzismo teorico in Europa, e della semplicistica associazione tra razzismo e fascismo sostenuta dalle istituzioni post-fasciste – subisce una sorta di nascondimento; azione che si è realizzata come una dissimulazione semantica del discorso sulla razza.

Tale dissimulazione che è un vero e proprio ‘nascondimento’ del razzismo in quanto disconosce l’archivio coloniale e schiavista da cui attinge e le pratiche discorsive di cui si nutre: “italiani brava gente”… eppure, il razzismo in Italia esiste ed è sempre più evidente. Se di razza negroide parlano anche le istituzioni pubbliche italiane, è di razza bianca che non si parla, invisibilizzando e rendendo universale la bianchezza; scrive in proposito Giuliani (2015, p.167):

Ciò che invece, per contro, è ‘invisibilizzato’ – o che è, per meglio dire, strategicamente negato – è la bianchezza mediterranea del soggetto egemone, la razzializzazione dei privilegi assegnati ai cittadini italiani e alle cittadine italiane, in modo differenziale a seconda, appunto, della loro posizione nelle gerarchie sociali interne.

In Italia la costruzione del Sé come bianco e mediterraneo si è formata per lo più mediante un processo relazionale e ‘per contrasto’ che identifica ciò ‘che è diverso’ per delineare – in modo implicito – l’identità del Sé”.

Scrive in proposito Jabari Mahiri (2018) che “la bianchezza creò la negritudine” e che la razza è una costruzione sociale, un residuo di schiavitù che vive ed è alimentata da un continuo razzismo sistematico, irrobustito a sua volta da tacite gerarchie razziali che esistono nelle odierne società occidentali.

M.  … basti pensare che l’ossessione hitleriana per la razza ariana è ancora viva (con azioni trasformative) … voglio dire che esistono focolai preoccupanti di cui poi, magari parleremo approfonditamente. Restiamo sulla questione dei pregiudizi: come puoi entrare in relazione con qualcuno che non conosci e che non ti viene in mente di conoscere!

Ancora, aggiungo che un segnale arriva dalla conoscenza delle lingue africane.

Non ho mai incontrato un operatore sociale bianco, ad esempio, che è stato incuriosito o abbia studiato una delle lingue africane … eppure sono innumerevoli, sono accessibili (ci sono dizionari e libri da diversi anni in commercio) e i nuovi arrivati che parlano queste lingue e dialetti sono numerosissimi.

L. I nostri bisogni formativi e informativi sono già predisposti da chi attraverso il potere e la supremazia, stabilisce cosa val la pena di sapere e cosa no.

Gli oppressi lottano con la lingua per i loro diritti … appunto

M. Alcune domande … sembrano stupide ma in realtà sono fatte apposta …

servono a mantenere la supremazia.

L. Domande “da bianco” e “domande da nero”?


[1] https://aghg.wordpress.com/2017/05/10/buongiorno-dalletiopia-cartoline-coloniali-italiane-documenti/

Mahamadou Ba e Lavinia

Foto: Marcello Scopelliti

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