Osservatorio Romano sulle Migrazioni – Xv Rapporto
Lavinia Bianchi*, Roberto Pergameno**
Le persone coinvolte nei processi di educazione e accoglienza per giovani migranti sanno che, oltre che con aspetti quali la complessità dell’operatività sul campo, la burocrazia, le previsioni normative, i bisogni educativi e formativi, l’alfabetizzazione emergenziale, la necessità di costruire progettualità fluide, si deve far i conti con inaspettati e attesi gap identitari e culturali. Tra questi, il trauma migratorio emerge in maniera preponderante (1). Il trauma migratorio non si supera, lo si ridefinisce, si impara a conviverci, lo si addomestica bene o male nel tempo. Questo testo dà conto di una buona prassi inclusiva approfondita nel corso della ricerca dottorale (2) della scrivente, buona prassi agita nel Centro minori “La pergola” (3) di Cisterna di Latina. È necessario un grande impegno etico e creativo per riempire di senso le parole; la parola intercultura, ad esempio, può diventare un “contenitore vuoto”(4) o, ancora, una sfumatura storiografica per dire multiculturalismo (5): in questo articolo viene raccontata una delle possibili azioni volte all’intercultura, intesa come l’esigenza di superare pratiche buone ma non sufficientemente efficaci e rispettose, mettendo in evidenza l’impegno costante del vivere in un contesto educativo caratterizzato da malintesi e spaesamento, scegliendo di privilegiare la forma narrativa, valorizzando le storie invece che le “spiegazioni”. Storie dunque, storie di resistenza e resilienza, di progetti di avviamento al lavoro e di compiutezza dei percorsi educativi. Esistono realtà virtuose in cui quotidianamente si sperimenta l’intercultura, consapevoli delle limitate condizioni di intervento, consapevoli di operare nel disagio. I sentimenti di affettività e di fiducia hanno una rilevanza enorme, un peso specifico che ha in sé in potenza la riuscita – oppure la mancata riuscita – di un percorso di vita che può indirizzare i minori stranieri non accompagnati (msna) verso un futuro pensabile e, quindi, realizzabile. In tutte le fasi della ricerca, dalla quale è stato ricavato questo breve testo, la tematica legata alla centralità della relazione si è manifestata in maniera costante, soprattutto nelle parole degli operatori, consapevoli della potenza di questo aspetto del loro lavoro e del fatto di lavorare in relazione e per la relazione, prima ancora di declinarla come relazione di cura e di aiuto. Nasce Veleggiando con Alisea: DiversaMente Mare A Natale 2017 il gruppo ArteMigrante (6) si esibisce nella cena di beneficenza organizzata da Emergency. Conosciamo Roberto e sua moglie. Seduti allo stesso tavolo, iniziamo a parlare… poi le danze, le canzoni, le percussioni scalmanate, le nostre performance di teatro sociale. Pochi giorni dopo Roberto mi chiama (7) e mi dice: “Io sono uno skipper, voglio portarvi in barca a vela, fare qualcosa di buono per me e per voi”. Nasce così il progetto DiversaMente Mare. Un progetto fatto di coraggio, un pizzico di presunzione e forse incoscienza (forse), che consiste nel portare in barca ragazzi che hanno attraversato il Mediterraneo rischiando di morire. I ragazzi, dopo la traversata per arrivare in Italia, tornano a navigare, stavolta su Alisea, un’imbarcazione a vela di 14 metri, con l’obiettivo, spaesante quanto basta, di ricomporre una ferita, di sanare – almeno in parte – una cicatrice identitaria. Il progetto è realizzato in collaborazione con Veleggiando Asd, un’associazione sportiva costituita con lo scopo di divulgare e promuovere lo sport della vela, la conoscenza dell’ambiente marino, con particolare attenzione al rispetto della natura; collaborare con organizzazioni umanitarie per la preparazione di eventi; partecipare a regate veliche e ad altre manifestazioni sportive e ricreative nel territorio. Roberto fa uscire i ragazzi con Alisea, trasformandoli in “equipaggio”, con l’obiettivo, tra gli altri, di ricreare in loro condizioni di tranquillità e sicurezza nel rapporto con l’ambiente marino, per ridefinire gli inevitabili traumi subiti durante la loro esperienza di migranti. I minori che partecipano sono 10, provengono da Egitto, Bangladesh e Albania. Sono state realizzate 5 uscite e due lezioni teoriche di preparazione. I ragazzi hanno appreso i rudimenti della navigazione e del lessico specifico del contesto, hanno collaborato operativamente e hanno navigato in acque protette, respirando aria diversa, scoprendo vorticosi spaesamenti e nuovi slanci di fiducia.
Nell’equipaggio c’è Abdel
Proprio mentre navighiamo con Alisea (è un racconto che poteva avvenire solo in mare) Abdel racconta come i 4 giorni prima di “prendere la barca” ha dovuto dormire in 4 case diverse con quelli che avrebbero fatto il viaggio con lui, per non farsi scoprire dalla polizia. La prima volta che hanno provato ad andare a prendere la barca non ci sono riusciti, perché c’era la polizia e sono dovuti tornare indietro. Per il secondo tentativo hanno camminato sulle sabbie del deserto per circa due ore, insieme a migranti di altri posti che si trovavano in Egitto. Non era facile camminare sulla sabbia. Era molto faticoso. Finalmente in spiaggia hanno preso una barca piccola, un “motoscafo” che li avrebbe portati alla “barca grande” diretta verso l’Italia. Prima di salire sul motoscafo gli scafisti hanno chiesto ai viaggiatori di lasciare a loro i soldi che avevano, con la scusa che in mare potevano bagnarsi e che tanto in Italia non erano soldi buoni. La cosa che più gli ha fatto impressione è stata vedere come una donna si feriva con l’elica del motoscafo a una gamba mentre saliva, un episodio brutto tra tanti altri: ad esempio, uno degli scafisti ha rovesciato un bidone con la riserva d’acqua perché infastidito dall’insistenza di richiesta di acqua da parte dei viaggiatori. Tra il motoscafo e le navi dei soccorsi, Abdel ha preso 4 imbarcazioni nel suo viaggio dall’Egitto all’Italia. Sulla seconda barca la paura di non farcela era così grande che tutti i presenti, compreso l’equipaggio, hanno fatto una “preghiera postuma” in anticipo rispetto alla possibile morte (8), perché se fosse successo il peggio non ci sarebbe stato chi pregasse per loro. Questo progetto è stato immortalato in una mostra fotografica a cura di Marcello Scopelliti, allestita presso “Palazzo M” di Latina, all’interno della kermesse artistico culturale “Lievito”.
(9) Riflessioni, pensieri, responsabilità
Nella vita ci sono molte cose che necessitano di coraggio. Tra queste sicuramente un posto lo trova l’imbarcarsi su un improbabile natante stracolmo di esseri umani e affrontare il mare. Ci vuole coraggio specialmente se sei poco più di un ragazzo, se il mare non l’hai mai visto, se non sai nuotare. Una sola di queste caratteristiche sarebbe sufficiente a qualsiasi persona con un po’ di raziocinio per recedere dall’affrontare l’impresa. Abdel e altri ragazzi come lui quelle caratteristiche le hanno tutte. Non serve coraggio e neppure incoscienza per riportare Abdel e gli altri componenti del gruppo in mare, questa volta da equipaggio partecipe. Non ce ne vuole, perché sono un uomo di mare e gli uomini di mare navigano con altri esseri umani uniti dalla voglia di solcare il mare, andare alla scoperta di un altro dove, ritrovare equilibrio e serenità solcando le onde. Le emozioni si fondono creando un clima prima elettrico, poi sempre più rilassato. Abdel racconta la sua storia, altri iniziano a cantare un canto malinconico, il canto triste dei pescatori egiziani. Ci sono popoli che il mare lo vivono per necessità, non per scelta. Per loro avventurarsi a largo, lasciare la terraferma è sempre un’avventura, con le sue incognite e i suoi pericoli. Gli egiziani sono così, come i nostri sardi, uomini di terra prestati al mare. Le loro canzoni raccontano tutto questo e quel canto è da un lato liberatorio, dall’altro magico, capace di trasformare una semplice veleggiata in un’esperienza
totalizzante che prende dentro ognuno di noi. Vado a prua, non voglio che vedano la mia commozione. Tante volte si dice che nell’atto di donare è più ciò che si riceve di quanto sia il donato. Mai come in questa esperienza ritrovo il senso di questa affermazione. Nel farmi carico della sofferenza di questi ragazzi, per quanto sia nelle mie possibilità, prendo per mano idealmente tutti i nostri fortunati ragazzi, a cominciare dai miei figli, e li porto dentro una realtà che in nessun altro modo potrebbe essere rappresentata con tanto drammatico realismo, con lo strazio del ricongiungimento dei sentimenti e delle esperienze con l’elemento che li ha cullati. Grazie, mare, per aver protetto la navigazione di questi ragazzi e averceli preservati perché potessero, con le loro testimonianze, metterci tutti di fronte alle nostre responsabilità.
* Dipartimento di Educazione e Scienze umane, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (lavinia.bianchi@unimore.it)
** Docente di Marketing e costruzione del prodotto turistico. Velista da oltre 40 anni e skipper. Da molti anni si occupa di comunicazione nelle scuole per Emergency come volontario. Pergameno ha scritto l’ultimo paragrafo, dal titolo “Riflessioni, pensieri, responsabilità”.
Note:
1 R.M. Moro, Manuale di psichiatria transculturale. Dalla clinica alla società, Franco Angeli, Roma, 2009.
2 La tesi è oggetto della monografia Imparando a stare nel disordine, Roma Tre Press, Roma, 2019.
3 Il centro minori “La pergola” dal 1992 si occupa di accoglienza ed educazione di giovani migranti e persone vulnerabili: http://www.centrolapergola.it.
4 M. Tarozzi, Il senso dell’intercultura, Iprase del Trentino, Trento, 2006.
5 J. Mahiri, Deconstructing Race. Multicultural education beyond the color-blind, Teachers College press, Colombia University, New York, 2017.
6 ArteMigrante è il nome di una compagnia di teatro musicale nata nel 2011 e formata da minori stranieri non accompagnati (msna) provenienti da tutto il mondo. Il repertorio è formato da musiche riadattate e tradotte nelle lingue degli attori e la recitazione è sostenuta dalle metodologie del teatro sociale e del teatro dell’Oppresso (https://www.facebook.com/ArteMigrante/?pnref=lhc).
7 Dal 2011 sono responsabile del gruppo di teatro sociale e musicale “ArteMigrante”, nato con minori stranieri non accompagnati inseriti nei servizi della cooperativa La Pergola e poi aperto a molteplici collaborazioni sui territori pontino e romano.
8 La percezione che i msna intervistati hanno dei morti nel Mediterraneo è un dato che non sono riuscita a rilevare: è uno degli argomenti tabù. Nei loro racconti ci sono accenni velati e, le rare volte in cui hanno manifestato voglia di raccontare, è prevalsa l’emozione del terrore.
9 Questo paragrafo è stato curato da Roberto Pergameno
Foto: Marcello Scopelliti