Educazione estetica e creatività
La lingua italiana (come altre) si avvale di molteplici espressioni di uso comune nelle quali il colore nero viene associato alla malvagità, al pessimismo, all’illegalità, al dolore, alla paura, alla rabbia. Si pensi ad esempio a: lavoro nero, anima nera, bestia nera, giornata nera, ecc… Questa eredità linguistica e culturale alimenta una percezione indiscutibilmente negativa del colore nero e, in un certo senso quindi, la cristallizza.
Un giorno, in una classe di bambine e bambini abituate/i a sentirsi sempre dire con quale colore scrivere cosa, decido di fare un piccolo esperimento. Subito, mi chiedono con che colore devono scrivere il titolo dell’esercizio e rispondo: “Quello che preferite”. In un secondo momento, alla stessa domanda, rispondo: “Quello che preferite…ma che sia allegro!” Tre bambini scelgono il nero. Mi rivolgo allora a uno di essi: “Perché il nero? Abbiamo detto un colore allegro…” Risposta: “Ma il nero mi fa sognare!”.
“L’Arte sta nelle cose; l’Estetica, nel soggetto e nel suo sguardo” afferma Boal, ed è proprio questo sguardo, ricco e complesso, che ci consente di condividere con il mondo non soltanto il nostro senso estetico, ma anche come e dove intendiamo indirizzare le nostre azioni.
Infatti, il “nero mi fa sognare” è un’affermazione che, oltre a mettere in discussione un presunto sentire dominante, si apre radicalmente, sconfinando nel sogno: un luogo dove è possibile immaginare, creare, sconvolgere.
Accogliere e valorizzare coscientemente percezioni che ci spiazzano e ci destabilizzano può tradursi in una azione educativa che arricchisce le competenze critiche, relazionali e umane di tutte le persone coinvolte.
Il modo in cui “sentiamo” e viviamo i colori e l’arte nelle sue varie forme, parla di noi, del nostro vissuto personale ed emotivo, della nostra unicità:
“L’uguaglianza data dall’appartenenza stessa alla specie umana fa i conti con la differenza che è caratteristica propria degli esseri umani e che si “definisce” nel momento in cui ogni individuo, sia esso donna o uomo, cerca di andare oltre ciò che è dato, stabilito, apparentemente invariabile, e lo fa a partire dagli altri, vivendo con gli altri” (Lopez, 2018, p. 22).
Ritengo essenziale nell’azione educativa considerare e problematizzare sguardi plurimi, per “sollecitare lo stupore” (Bruner, 1986), insinuare dubbi, legittimare l’incomprensione e la trasgressione (hooks, 1994).
L’educazione estetica può, in questo senso, far emergere stereotipi occulti e prevenire l’insorgere di pregiudizi.
Testo: Benedetta Bertocchi
Foto: Marcello Scopelliti